“JESSICA: LA MIA BOTTEGA, SCOMMESSA PER L’IRPINIA” (di Pellegrino La Bruna)
Un laboratorio inaugurato a Bisaccia, dedicato alla tessitura per coltivare l’arte trasmessale dalla zia.
Riaprire la bottega dell’amata zia Sandra era il sogno di Jessica Tartaglia, ventiduenne di Bisaccia, un sogno nato dalla volontà di salvaguardare e trasmettere l’arte della tessitura, quella passione per i tessuti che prendevano forma, che sua zia amava tanto. Il suo laboratorio – negozio è oggi una bellissima realtà, sorge ai piedi del castello di Bisaccia. Lo ha ereditato dalla zia materna, uccisa a soli 40 anni per un male incurabile.
“E’ stata mia zia a lasciarmi in eredità
questa bottega e a insegnarmi quest’arte!”
Quanti siete in provincia a coltivare l’arte della tessitura, ad averla trasformata in un lavoro?
“Credo di essere l’unica in Irpinia e tra le pochissime a livello regionale”
Come ti è venuta l’idea di aprire una bottega?
“Il tutto è partito da zia Sandra. Era la sorella di mia madre, scomparsa a 40 anni. Ha aperto questo negozio 15 anni fa e ho trascorso tutta la mia infanzia insieme a lei. Da lei ho appreso le prime nozioni della tessitura, lavoravo con telai più piccoli e realizzavo dei lavoretti molto semplici. Zia Sandra teneva dei corsi per bambini nelle scuole, non avevo mai usato il telaio grande e confesso che non avrei mai pensato di intraprendere un lavoro del genere. Quando è venuta a mancare, ho cominciato a chiedermi se ne sarei stata capace. Mi sono messa alla ricerca di una filatrice che avesse lo stesso tipo di telaio, che è finlandese contromarcia, diverso dagli altri. Consente di lavorare non solo con le braccia, ha i pedali e bisogna muovere anche i piedi.”
Torniamo alla ricerca della tessitrice…
“L’ho trovata a Perugia, la signora Concetta Mennella, con la quale ho trascorso molto tempo. Non è stato facile imparare, è tra i telai più complicati che esistano, ma nonostante le difficoltà e ricordandomi come zia lavorava sono riuscita ad imparare. Tornata in paese, mi sono esercitata a lungo e ho completato gli studi. Mi sono laureata in Mediazione linguistica e culturale all’Orientale di Napoli e il trenta giugno 2018 ho inaugurato il negozio”.
Pensa che questo lavoro possa darle da vivere?
“L’artigianato è tenuto in poca considerazione nel nostro paese, basti pensare che i prezzi ai quali confeziono i manufatti sono di gran lunga inferiori al valore reale e al lavoro che richiede ogni pezzo. Utilizzo filati di ottima qualità e la fatica è tanta, ma il prezzo deve essere accessibile. Se si vive da soli si riesce a sopravvivere, ma se si ha una famiglia penso che il guadagno che proviene da un simile lavoro non possa bastare”.
Che attrezzi usa?
“Il telaio, la navetta e le bobine di filato. Si inizia con l’orditoio che è la base del tessuto, ma prima creo il progetto dando le misure del manufatto che voglio realizzare, quindi creo l’ordito e determino anche la quantità dei pezzi da realizzare, solitamente ne realizzo dieci, e devono essere tutti diversi, essendo questa la peculiarità dell’artigianato. Poi carico l’ordito sul subbio posteriore del telaio, lo avvolgo e passo i fili nelle maglie dei licci nelle fessure del pettine e si legano al subbio anteriore. Prendo la bobina precedentemente preparata, con il filo che può essere di lana, seta, cashmere, la metto nella navetta e inizio a tessere”.
Che tipo di prodotti realizza?
“Sciarpe, scialli, borse, tappeti, arazzi, tendaggi, plaid, cuscini, molte volte confeziono un tessuto e la sarta realizza un vestito, l’ultima novità della mia produzione sono cravatte, pochette da taschino e papillon per uomo”.
Che tipi di materiali usa?
“I più diversi. Lana, cashmere, seta, cotone, lino, lino fiammato, nulla di acrilico nè sintetico, puro filato”.
Ha incontrato difficoltà all’inizio della sua attività?
“Inizialmente si, ho dovuto capire i meccanismi della tessitura. I vari passaggi vanno eseguiti tutti e nella dovuta successione, ogni giorno c’è qualcosa da imparare, è questa la caratteristica dell’artigianato, ma soprattutto bisogna essere creativi.
Al di là della passione che sua zia le ha trasmesso, qual è stata la scintilla che le ha fatto pensare di poter fare questo lavoro?
“E’ stato l’osservare la passione che mia zia metteva nel lavoro, altrimenti non avrei mai pensato di cominciare una simile attività. A Bisaccia in passato c’era una forte tradizione legata alla tessitura, ma si è persa. Nel 1999 la CISL aveva organizzato un corso al castello per insegnare l’arte della tessitura, a partecipare erano dieci ragazze, tra cui mia zia, a tenere le lezioni era una tessitrice finlandese, ecco spiegato perché posseggo questo telaio finlandese. Delle dieci solo zia ha continuato”.
Ci sono famiglie che chiedono di insegnare il mestiere ai propri figli o giovani incuriosite da questo lavoro?
“Mi hanno chiesto più volte di tenere dei corsi per bambini. Mi piacerebbe farlo, credo che solo così, trasmettendo i segreti di quest’arte alle nuove generazioni, la si possa difendere.”
Pensa che un domani la tessitura possa essere una fonte di sviluppo per il paese?
“Credo di sì, basterebbe promuovere l’artigianato locale nell’ambito di fiere e rassegne, incoraggiare i giovani ad avvicinarsi a quest’arte.”
Le piacerebbe lavorare per una stilista?
“Certo, anche mia zia aveva avuto contatti con qualche stilista, ma offrivano prezzi stracciati, nonostante riconoscessero la qualità del prodotto. In questa bottega tutto parla di lei. Dal locale al telaio era tutto suo, vede c’è ancora la sua insegna.”
Consiglierebbe ai giovani di fare questo lavoro?
“Certo, visto che un lavoro non c’è, ma non trovo molto ascolto. E’ un lavoro che richiede molta fatica e non garantisce guadagni. Mentre stando dietro una scrivania lo stipendio è sicuro.”
Il lavoro che le ha dato più soddisfazione?
“Ogni pezzo che realizzo mi dà soddisfazione. Devo ancora sperimentare tante idee. La tessitura resta un lavoro fortemente creativo.”
Qual è il suo sogno?
“Mi piacerebbe creare una mia linea di moda. Il nome JESA sta per le iniziali del mio nome e di quello di mia zia, è un’idea nata quando ero piccolina e zia iniziava a tessere. Fu lei a dirmi: “Jessica quando sarai grande, creeremo un nostro marchio di moda, tu disegnerai i vestiti e io li tesserò, e lo chiameremo JESA”. Quando ho deciso di aprire il negozio, ho ritrovato dei disegni che avevo realizzato e ho ritrovato questa sigla che avevo dimenticato e di qui la decisione di chiamarla così. Era il nostro sogno creare i nostri vestiti, la nostra linea rigorosamente artigianale, pezzi unici, pochi ma buoni.”